Gli artisti, le cui opere sono state fonte di ispirazione per alcuni allestimenti nella mostra, sono tre artisti sassaresi nati e vissuti a cavallo tra l’800 e il ‘900 la cui fama ha varcato i confini della Sardegna ma per i quali la Sardegna è sempre stata, in modi diversi, al centro dei loro lavori.
EDINA ALTARA
OPERA SCELTA: LA SPOSA – ABBINATA AL ROMANZO “IL PAESE DEL VENTO” DI GRAZIA DELEDDA
Fin da bambina Edina Altara mostra una notevole propensione per il disegno, i colori e l’uso della carta. Giovanissima inizia la sua carriera artistica come autodidatta e a soli diciotto anni, nel 1917, durante la mostra della Società degli Amici dell’Arte di Torino, ha l’onore di vedere acquistato dal re Vittorio Emanuele III il collage “Nella terra degli intrepidi sardi” (noto anche con il titolo “Jesus salvadelu”), ora esposto al Quirinale.
Dopo il matrimonio con Vittorio Accornero de Testa, illustratore noto con lo pseudonimo di Victor Max Ninon, lavora come illustratrice déco insieme al marito e i lavori in collaborazione vengono firmati Edina e Ninon. Negli anni trenta si dedica alla ceramica, alla moda e alla decorazione.
Artista poliedrica, abile disegnatrice, sensibile e fantasiosa illustratrice, creatrice di moda, dopo la separazione amichevole dal marito, nel 1934, apre a Milano, nella propria casa, un atélier in grado di attirare una raffinata clientela.
Dal 1941 al 1943 collabora con la rivista Grazia, realizzando figurini di moda.
Dal 1942 inizia a collaborare con la rivista femminile Bellezza diretta da Gio Ponti del quale, a partire dal 1946, diventa collaboratrice; orna, fra l’altro, numerosi arredi firmati dal designer italiano.
Così, fra gli anni quaranta e gli anni sessanta l’assidua collaborazione con Ponti esalta la sua creatività che si muove fra progetti d’arredo e design pubblicati in autorevoli riviste come Stile e Domus.
Durante la collaborazione con Gio Ponti, Edina Altara ha avuto modo di lavorare alla decorazione degli arredi di cinque transatlantici: Conte Grande, Conte Biancamano, Andrea Doria, Oceania e Africa.
SITO UFFICIALE DI EDINA ALTARA
MELKIORRE MELIS
L’OPERA SCELTA PER L’ALLESTIMENTO – ABBINATA AD ADELASIA DI TORRES
Figlio di commercianti sardi, Melkiorre Melis si formò, nella sua città natale, accanto al pittore parmense Emilio Scherer, allievo di Domenico Morelli.
Nel 1909 ottenne un sussidio municipale che gli permise di proseguire gli studi presso la Scuola libera del nudo dell’Accademia di Roma. Nella capitale, frequentò una scuola di disegno e lo studio di Duilio Cambellotti. Fu impiegato come disegnatore in uno stabilimento di arti grafiche, dando inizio alla carriera di illustratore. Tra i primi lavori si annoverano le illustrazioni per il Giornale d’Italia, esposte al Palazzo delle Esposizioni di Roma (1931).
Partecipò alla I Esposizione artistica sarda con il dipinto L’ucciso, poi esposto nella galleria Cova di Milano e presso la I Biennale di Roma e, nel 1919, divenne direttore artistico della Rivista sarda. Negli anni ’20 si dedicò alla decorazione di interni (ornando, tra l’altro, la sala da ballo della casa d’arte Bragaglia, a Roma) e all’allestimento di esposizioni temporanee. Allestì, anche con le opere del fratello Federico, la sezione sarda della I Biennale delle arti decorative di Monza, mostra che fu ripetuta a Roma, presso il Palazzo delle Esposizioni. Nel 1925 e nel 1927 partecipò nuovamente alla Biennale di Monza.
Nel 1925 espose il dipinto La regina saracena presso la Mostra degli amatori e cultori di Roma, nel 1927 allestì la sala dedicata alle province sarde nella Mostra del grano di Roma, nel Palazzo delle Esposizioni. Nel 1928 espose il Nido delle sirene alla II Mostra di arte marinara e, l’anno seguente, realizzò le pitture parietali per il II Salone internazionale dell’automobile, sponsorizzato dalla FIAT. Partecipò alla XII Biennale di Venezia (1931) e alla I Quadriennale di Roma (1931). In seguito orientò la sua produzione artistica verso la ceramica proseguendo il lavoro di grafico e ottenendo, in questo campo, prestigiose commesse.
Nel 1934 il governatore della Libia, Italo Balbo, gli affidò la direzione della Scuola musulmana di arti e mestieri di Tripoli, presso la quale aprì una sezione dedicata alla ceramica dando un contributo alla produzione artigiana della comunità locale. Alcune repliche delle sue opere ceramiche furono accolte alla I Triennale d’Oltremare a Napoli e alla IX Mostra dell’artigianato a Firenze (1939).
Abbandonò definitivamente la Libia (1942) e continuò la sua attività espositiva. Partecipò alla Mostra d’arte moderna della Sardegna tenutasi a Venezia nel 1949 con l’opera Beduina al mercato, poi esposta alla Galleria d’arte moderna di Roma.
Nel 1951 partecipò alla VI Quadriennale di Roma e la città di Sassari gli conferì il premio per la pittura. Nel 1965 divenne docente presso una Scuola d’arte a Roma, dove morì il 14 dicembre 1982..
GIUSEPPE BIASI
OPERA SCELTA: LA CANZONE DEL PAPPAGALLO
Autodidatta, intorno ai 16 anni, inizia a pubblicare sui fogli umoristici sassaresi, fino al 1904, quando parte per Roma. In Italia inizia già nel 1905 a collaborare col quotidiano redatto in francese L’Italie e con L’Avanti della Domenica, settimanale socialista. Nella primavera dello stesso anno è nuovamente in Sardegna, nella sua città natale, per proseguire i suoi studi in legge. Nell’ottobre, al teatro Politeama Verdi di Sassari, ha luogo una sua mostra personale di caricature.
Nel 1906 vince un concorso per scolarizzazione italiana avuta nella città natale, parte, con il conterraneo Mario Mossa De Murtas, alla ricerca della propria identità iniziando un vero e proprio viaggio nei paesi della Sardegna, avventurandosi nelle regioni interne, dalla Barbagia al Sulcis. Rimane letteralmente affascinato dall’ambiente e dai costumi di Teulada.
Qui Biasi trova nell’estetica degli usi e degli abiti tradizionali, della musica e del canto, ciò che in se stesso ricercava, quell’originalità virginale e autentica, non ammantata né di folklorismi o di nostalgie, ma neanche del fin troppo facile fascino “selvaggio”. Possiamo infatti raffrontarlo ad alcune opere dell’ultimo periodo (specie pittoriche) dove vi è traccia di una certa componente nostalgica.
Nel 1908 consegue la laurea in giurisprudenza mentre nel 1909 inizia una proficua collaborazione con la scrittrice nuorese Grazia Deledda, “Grassia”, premio Nobel per la letteratura nel 1926. Pubblica ne L’Illustrazione Italiana e La Lettura. Importante è ricordare che nello stesso anno il suo favoloso acquerello Processione nella Barbagia di Fonni viene selezionato per partecipare alla Biennale di Venezia.
Nel 1913 partecipa alla prima Mostra della Secessione romana, mostra cui parteciperà anche l’anno seguente, oltre ad esporre alla Biennale veneziana. Nel 1914 entra a far parte del gruppo de L’Eroica, la rivista diretta da Ettore Cozzani a La Spezia che si è fatta promotrice della rinascita della incisione su legno.
È chiamato alle armi nel 1915, ma viene quasi subito ferito ad una gamba (rimarrà claudicante) e viene ricoverato a Treviglio. Nel 1916 si trasferisce a Milano frequentandone gli ambienti intellettuali ed artistici e riscuotendo buon successo. Conosce Aroldo Bonzagni con cui esporrà nel 1919 alla Galleria Pesaro; la sua pittura si fa più intensamente poetica.
L’esperienza romana di Valori plastici e soprattutto la nuova corrente di Novecento però segnano per lui un declino dell’interesse del pubblico verso la sua pittura.
L’avvento del Fascismo al potere lo vede in una posizione critica, che gli costa l’invito alla Biennale del 1922. Lavora all’apparato decorativo dell’Hotel Villa Serbelloni di Arturo Bucher a Bellagio (1923), ma nel complesso si trova in difficoltà creative e di finanza.
Ai primi del 1924 parte per il Nord Africa. Vi si tratterrà fino al 1927, visitando la Tripolitania, la Cirenaica e l’Egitto, alla ricerca di nuove ispirazioni e di un primitivismo rigeneratore. Interessato all’arte africana, alle maschere rituali, all’arte indiana, ma anche a Matisse e a Modigliani, esegue una quantità di lavori ad olio, disegni e piccole tempere che si propone di sviluppare in futuro. L’esperienza africana lo porta ad elaborare uno stile asciutto e sintetico, con stesure di colore arido e magro.
Tornato in patria è freddamente accolto alla Biennale del 1928 in cui espone due grandi nudi intensamente decorativi: Serenità e La teletta. Si ritira in Sardegna dove propugna la formazione della Famiglia artistica sarda quale associazione di artisti ed intellettuali avversa all’omologazione promossa dallo stato fascista attraverso i suoi Sindacati. L’iniziativa viene contrasta dal regime che istituisce anche in Sardegna il Sindacato delle Belle Arti, affidato al suo rivale Figari.
I primi anni trenta sono per lui difficili: espone pressoché ignorato alla Biennale del 1930 e alla I Quadriennale del 1931, mentre ha successo alla meno importante esposizione della Mostra Coloniale di Roma.
Lavora alla Villa Argentina di Viareggio (1930), alla stazione ferroviaria di Tempio (1931), mentre gli viene revocato il lavoro alla Sala Consiliare del Comune di Sassari.
Nel 1935 pubblica alcuni libelli di aperta critica al sistema di organizzazione delle mostre statali. Tra il 1936 e il 1938 espone a Cagliari, a Milano e a Biella. Ai primi anni quaranta la sua arte arriva a freddi esiti realistici.
Sempre pressato da difficoltà economiche, alla ricerca di commesse di decorazione, si trasferisce a Biella nel 1942; vi ottiene buon successo, ma suscita invidie nell’ambiente artistico locale. La produzione di questi ultimi anni è permeata da pessimismo tragicamente presago. Alla Liberazione viene accusato da una lettera anonima di essere stato una spia dei tedeschi; incarcerato, muore tragicamente ad Andorno Micca dopo aver ricevuto dei colpi di pietra sulla testa, il 20 maggio 1945.
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